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L’andamento della campagna 19-20 delle clementine

I dati dell’analisi della campagna commerciale delle clementine 2019-2020 a cura di Bmti-Italmercati: le superfici investite, i prezzi e il commercio estero.

Il clementino Comune è ancora la cultivar più coltivata nelle regioni produttive italiane. L’andamento delle quotazioni si è mantenuto molto simile nel corso degli anni, mostrando un forte calo nel periodo di maggiore produzione, che coincide con le prime settimane di dicembre.

La raccolta 2019 non ha fatto eccezione, anche se il livello delle quotazioni è sempre stato notevolmente più elevato rispetto alle precedenti campagne: si è osservato un inizio della produzione ritardato e con un livello qualitativo poco omogeneo (soprattutto per quanto riguarda la cultivar Spinoso). La qualità del prodotto è successivamente migliorata raggiungendo livelli ottimali, mentre i quantitativi offerti sono risultati sempre inferiori rispetto alle annate precedenti, determinando il livello elevato dei prezzi. La campagna sta terminando con forte anticipo e la riduzione dei prodotti offerti ha causato una notevole impennata delle quotazioni già dai primi giorni del 2020.

Superfici investite a clementine

Le superfici investite a clementina si sono mantenute sostanzialmente stabili tra il 2015 e il 2019, attestandosi poco sotto i 26mila ettari. Le aree coltivate si concentrano in Calabria, che comprende il 62% delle superfici nazionali. Seguono Puglia e Sicilia, con quota rispettivamente del 19% e del 9%. Da un punto di vista produttivo, nel 2019 si è verificato un calo della produzione determinato dal cattivo andamento climatico, caratterizzato da frequenti piogge sia nel periodo della fioritura che della raccolta, da elevate temperature in autunno che hanno ritardato la maturazione e dalla siccità estiva la quale, oltre a rallentare l’incremento ponderale dei frutti, ha rallentato l’entrata in produzione.

Andamento delle superfici italiane dal 2015 al 2019 e andamento delle superfici in Calabria e in Puglia

I prezzi della clementina comune per calibro

La campagna è stata caratterizzata da una leggera prevalenza di frutti di calibro medio piccolo e le differenze di prezzo tra i vari calibri si sono mantenute nella norma.

Da segnalare la bassa presenza di clementine di grandi dimensioni, motivo per cui le quotazioni di queste ultime sono risultate sostanzialmente equivalenti a quelle della classe di calibrazione inferiore.

I prezzi delle varietà di clementina

Anche per questa campagna si rileva come la produzione nazionale di clementine precoci sia quasi inesistente, per cui i consumi vengono coperti dall’importazione di prodotto prevalentemente spagnolo. Nello specifico, la cultivar Clemenruby, prodotto che è risultato di buona qualità, ha mostrato un andamento costante delle quotazioni su livelli medio alti. Verso la metà di ottobre si è aggiunta la cultivar Oronules, ben apprezzata dai consumatori in quanto simile al clementino comune che ha avuto buon esito. Mantenendosi le quotazioni su livelli più elevati, la vendita di prodotto spagnolo è proseguita fino ai primi giorni del mese di dicembre.

Il commercio estero delle clementine

Le importazioni nella campagna 2018/19 si sono attestate oltre le 51.500 tonnellate, per un valore di 61,1 milioni di euro, in calo rispetto alla campagna precedente. Si osserva come l’import sia rappresentato principalmente da prodotto spagnolo.

Dal lato dell’export, i volumi si sono attestati sulle 72.800 tonnellate, con un valore monetario di 43,8 milioni di euro, particolarmente inferiore al valore dei volumi importati. Questa dinamica ha determinato una bilancia commerciale positiva in volume e negativa in termini monetari.

Fonte: Fresh Point Magazine

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Ortofrutta, blockchain e piattaforme digitali per valorizzare i prodotti

La sfida, lanciata da  Basf Vegetable Seeds all’evento Business event for expert, è quella di sfruttare le nuove tecnologie, tra blockchain e altre piattaforme digitali, per comunicare con il consumatore e orientare l’offerta, valorizzando il prodotto

«Valore lungo la filiera agroalimentare, tecnologie digitali, consumatori, sostenibilità e valorizzazione delle persone sono le fondamenta su cui si basa la strategia di business che abbiamo adottato per rispondere a un mercato guidato dal consumatore e in profonda evoluzione».

Così Jose Antonio Salinas Reyes, Country Head Nunhems Italia, dà il benvenuto ai professionisti dell’intera filiera ortofrutticola presenti alla terza edizione del Befe, Business event for expert di Basf Vegetable Seeds, che ancora una volta offre spunti di riflessione sul futuro del settore.«Segmentare il mercato e tracciare un profilo del consumatore moderno di prodotti orticoli è fondamentale per tutte le aziende che vogliono rimanere sul mercato – ha continuato Salinas –. Pretendere di vendere tutto a tutti in maniera indistinta è impossibile. In questa operazione di avvicinamento al consumatore l’innovazione digitale ha un ruolo chiave».

Il consumatore 4.0

Per capire cosa produrre e come, partiamo dai numeri. I principali driver evolutivi del mercato, come ha brevemente ricordato Claudia Iannarella, Consumer and Customer Manager di Nunhems Italia, sono: gusto, salute, praticità e sostenibilità.

Aspetti che si ritrovano nel mix di fattori che guidano il consumatore di oggi, che possiamo definire 4.0, nell’acquisto di ortofrutta (figura 1), evidenziati dall’indagine Nomisma esposta da Ersilia Di Tullio, Senior Project Manager. «Stagionalità/freschezza, tracciabilità, prezzo, origine, sostenibilità, marca, praticità, salute e digitale, sono le caratteristiche ricercate dal consumatore nei prodotti alimentari. Tra questi fattori, è interessante notare che il prezzo non è al primo posto e che comincia a farsi strada anche la componente digitale».

Figura 1 – Mix di fattori che guidano il consumatore nell’acquisto di prodotti alimentari

Quando si parla poi di ortofrutta, un mercato che più di altri è caratterizzato dalla preferenza per il prodotto fresco (86% dei consumatori) rispetto a quello trasformato, l’incidenza di questi criteri d’acquisto diventa ancora più evidente (figura 2).

Il cliente moderno non esige solo un ottimo rapporto qualità prezzo, è attento soprattutto alle caratteristiche del prodotto, alla tracciabilità e – nei prodotti lavorati in particolare – alla praticità nell’utilizzo. Dall’indagine è emersa anche una generale soddisfazione del consumatore (il 66% lo è) per l’attuale offerta, che però lascia spazio a un buon margine di opportunità di crescita e sviluppo nel settore.

Figura 2 – Fattori che incidono sull’acquisto di prodotti ortofrutticoli 

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Nota: la figura prende in considerazione i prodotti orticoli, tuttavia considerazioni analoghe possono essere fatte per la frutta

In particolare, Di Tullio propone alcuni fattori incentivanti il consumo di ortofrutta, tra cui spiccano il gusto, la trasparenza della filiera e la riduzione dei packaging (figura 3).

Figura 3 – Fattori che potrebbero incrementare l’acquisto di ortofrutta

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Nota: la figura prende in considerazione i prodotti orticoli, tuttavia considerazioni analoghe possono essere fatte per la frutta

«Questi indicatori possono essere sfruttati dalle aziende per meglio orientare la propria offerta. Focalizzandosi su alcuni prodotti, come pomodoro, anguria e carciofo, si vede chiaramente come le strategie di valorizzazione debbano essere differenziate in base al singolo prodotto (figura 4)».

Figura 4 – Possibili strategie per incrementare le vendite di pomodoro

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Le strategie, inoltre, devono adattarsi anche al tipo di consumatore a cui si rivolgono. Evita Gandini, Project Manager di Nomisma, ha poi proseguito identificando una segmentazione di tipologie di consumatori – cinque in particolare: curiosi, concreti, edonisti, maturi e acerbi – determinata da una differente combinazione di quattro fattori, ovvero percezione, consapevolezza, accessibilità e digitale. La Gandini ha poi dato diverse indicazioni e stimoli su come intercettare e raggiungere al meglio il consumatore finale, targettizzando a esempio la comunicazione con claim e slogan precisi, creando corner, show cooking o, ancora, definendo etichette ad hoc, e fornendo ai presenti un pacchetto di soluzioni immediatamente spendibili.

Tra blockchain …

Per lavorare sul prodotto offerto, migliorandone il gusto, la produzione, la praticità di consumo, al fine di valorizzare la propria attività e incrementare le vendite, «si dimostra indispensabile anche la conoscenza e l’utilizzo delle nuove tecnologie digitali – spiega Stefania Meloni, Global Regulatory Policy Manager Basf. Tra le tante innovazioni di agricoltura 4.0 la blockchain può a esempio fornire una grande risorsa nell’ambito della tracciabilità». Il progetto “Riso Chiaro” di Basf è proprio un esempio di blockchain applicata alla filiera del riso.

Un altro vantaggio di questa tecnologia è che sembra essere molto accessibile, «un progetto di blockchain – continua Meloni – richiede un investimento di circa 5-6 mila euro. Si tratta di un’opportunità da cogliere, soprattutto in un momento storico, quello in cui ci troviamo, in cui l’attenzione per l’adozione delle tecnologie digitali è molto alta, anche da parte dell’Ue».

..e altre piattaforme digitali

In un mondo di consumatori iper-connessi, che richiedono servizi personalizzati e una qualità superiore, il supporto degli strumenti digitali sembra essere indispensabile per creare e comunicare valore. È il messaggio di Andrea Pia, Vp Client Service Italy Akqa, che è intervenuto sul tema incentivando imprenditori e produttori agricoli nel proporre contenuti digitali interessanti, facendosi affiancare da agenzie specializzati nella nuove piattaforme digitali.

La stessa Nunhems si pone in prima linea e sottolinea la volontà di proporre ai propri clienti, accanto a nuove varietà di ortofrutta più competitive, anche altri servizi e di voler diventare facilitatrice di nuove partnership.

Fonte: TerraE’vita

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Piccoli frutti: se ne è parlato al primo Convegno nazionale Sant’Orsola

Mercati, ricerca, filiera e nuovi modelli di consumo: questi gli argomenti al centro del primo convegno nazionale Sant’Orsola, che si è tenuto lo scorso sabato 1 giugno 2019 a Pergine Valsugana (Tn)

Quaranta anni fa alcuni pionieri iniziarono a coltivare le fragole nelle nostre valli. Ci siamo costantemente evoluti sotto ogni aspetto fino a diventare la realtà che avete potuto visitare, con il nostro nuovo stabilimento, iniziato a fine luglio 2017 ed aperto due mesi fa. Non solo abbiamo consolidato la nostra leadership sul mercato nazionale, ma siamo diventati il distretto italiano dei piccoli frutti di riferimento per l’Europa“. Questo il benvenuto del direttore generale di Sant’Orsola Matteo Bortolini in occasione del “Primo convegno nazionale Sant’Orsola sui piccoli frutti” che la Società cooperativa agricola ha organizzato lo scorso 1° giugno a Pergine Valsugana (Tn) per analizzare l’evoluzione del mercato e la situazione della produzione e dei consumi del settore, in costante crescita.

Dopo la visita guidata al nuovo stabilimento inaugurato a inizio dello scorso mese di aprile, il presidente della Società Silvio Bertoldi ha dato il benvenuto ai rappresentati del mercato italiano di riferimento per la Società cooperativa (più di 150 e con loro alcuni provenienti da paesi europei) presenti nel nuovo auditorium: “questo primo Convegno nazionale è pensato per gli operatori che consentono di vendere la produzione dei nostri 830 soci, ma già fin d’ora posso anticipare che l’appuntamento avrà cadenza annuale e sarà mirato alle nuove frontiere del nostro settore“.

Gianluca Savini, agronomo specializzato, responsabile della consulenza tecnica della Sca, ha poi tracciato un identikit sintetico della Società Sant’Orsola sottolineando che oggi la Cooperativa produce piccoli frutti mediante i propri associati o in partnership in sette delle dieci regioniitaliane dove si coltivano e detiene la leadership nazionale del settore. Può contare su circa 830 soci che forniscono l’intera gamma ovvero lampone, mirtillo, fragola, fragolina di bosco, mora e ribes rosso, cui si aggiungono kiwi arguta e ciliegia. La produzione riesce a coprire l’arco dei 12 mesi.

Filiera controllata

La Società controlla l’intera filiera: fa miglioramento genetico in campo sperimentale, cura vivai e fornitura delle piante, fa corsi di formazione e di aggiornamento, fornisce assistenza tecnica in campagna con uno staff di 14 agronomi e possiede/controlla i centri di conferimento della frutta. Garantisce per intero il metodo della produzione integrata e le migliori condizioni degli impianti mediante coperture mirate. Obiettivo: garantire qualità e salubrità della frutta, dai campi ai consumatori.

Sant’Orsola è diventata anche un caso di studio in Italia da quando ha introdotto una sostanziale innovazione per l’uso micronizzato e computerizzato dell’acqua nel settore fragole. E’ riuscita a tagliare del 25 per cento l’uso dell’acqua d’irrigazione negli impianti e ad aumentare contestualmente del 18 per cento la produzione rispetto ai sistemi tradizionali. A conti fatti, risparmia circa 60mila mc di acqua all’anno pari al consumo medio di 300 famiglie. L’attività continua mirata al miglioramento genetico le consente di produrre il 90 per cento di lamponi mediante proprie selezioni.

Ricerca & piccoli frutti

Il professore Bruno Mezzetti  del dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e ambientali dell’Università Politecnica delle Marche, ha poi fatto  il punto sulla ricerca, l’innovazione e la coltivazione dei piccoli frutti a livello nazionale e internazionale.
La coltivazione dei piccoli frutti è in costante crescita ovunque grazie alle novità varietali introdotte, derivate, ad esempio, da selezioni, dall’uso della biotecnologia, dagli studi sulla fisiologia delle piante e dallo sviluppo dei sistemi di coltivazione.
Fondamentale ovunque oggi è la collaborazione tra ricerca privata e pubblica. La frontiera sta ora nella continua espansione dei terreni dove si piantano nuove cultivar ad alta adattabilità per climi differenti e nello sviluppo di sistemi a basso impatto ambientale.

Consumi in costante crescita

L’euforia dei mercati per il trend sempre crescente dei consumi di piccoli frutti rivela squilibri rischiosi che si possono creare. Dunque il mondo dei piccoli frutti deve costruire una visione su tutta la filiera, come la Sca Sant’Orsola ha realizzato. Il trend di crescita mondiale è a rischio se il settore non si dà delle regole. Ad esempio, l’eccesso di produzione del mirtillo in Spagna ha visto il dimezzarsi nel giro di pochi anni gli ettari coltivati, passati da 12mila a 6mila. I picchi di produzione incontrollata fanno precipitare i prezzi, la diversificazione e gli investimenti per sfuggire alla stagionalità possono essere dei rimedi.

Qualche dato. Il consumo 2006-2015 dei berries è più che raddoppiato nel mondo, passato da 600 milioni di euro a 1.300 milioni di euro. In Europa soprattutto in Inghilterra e Germania. Le previsioni del consumo al 2020raddoppiano i volumi, su base iniziale al 2004. Un esempio: le esportazioni spagnole verso l’Inghilterra nel 2010 ammontavano a circa 100 milioni di euro, nel 2015 ad oltre 250 mioni di euro. Trend in crescita anche per la produzione, dati 2017. Nel settore fragola, svetta la Cina (3,8 milioni di tonnellate), l’Italia è al 14° posto. La Russia è al primo posto per il lampone (150 chilotonnellate), l’Italia è al 22° posto. Per il mirtillo maggiori produttori sono gli Stati Uniti (240 chilotonnellate), l’Italia è al 14° posto.

I paesi europei maggiori esportatori sono la Spagna, la Grecia e la Turchia, questi due verso il mercato russo.
Di conseguenza, anche il settore vivaistico è in forte espansione, in ItaliaGermaniaOlanda e Spagna soprattutto. In Europa 50mila ettari sono ora piantati per la sola fragola e grossi investimenti sono in corso in  in SpagnaItaliaFrancaOlandaPoloniaGrecia e Turchia.

Stante la situazione di pressoché incontrollata crescita della produzione di piccoli frutti, il professore Bruno Mezzetti ha indicato alcuni settori di intervento come prioritari: coltivazione integrata ovunque come obiettivo minimo, interventi nel rinnovamento genetico anche per lampone e mirtillomeccanizzazione della raccolta ove è possibile, puntare a varietà che garantiscano qualitàsalubrità e valori nutrizionali alti, tenendo conto che esistono ormai soluzioni per la difesa della pianta a basso impatto ambientale.

Il futuro non è più quello di una volta“, ha assicurato con un pizzico di ironia il professore Daniele Fornari, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. E’ direttore del Centro di ricerche su Retaling & trade marketing. Al centro del suo intervento, le nuove dimensioni dei consumi, precisando in apertura che negli ultimi anni è iniziata un’epoca di grande e diffusa complessità, le situazioni di imprevedibilità, di incertezza e di rischio sono sempre più la nuova normalità dei settori e dei mercati; definendo la situazione attuale come “caotica“. Ha fornito valutazioni ricavate da ricerche empiriche effettuate dall’Università assieme a gruppi industriali del settore alimentare.

In calo l’andamento delle vendite agroalimentari, sia a valore che a volume. Dal quasi 8 per cento delle prime e 6,6 delle seconde nel decennio 1990-2000 allo 0,2-0,3 del 2008-2018 al 0,4-1,1 dei primi quattro mesi del 2019. Pesa il decremento delle nascite, pesano i cambiamenti degli orientamenti, dei modi di pensare, valutare e scegliere verificatisi nelle generazioni. Ciò produce effetti di vario tipo, cui si aggiungono la maturità di certi mercati e il declino di altri, come la calante efficacia del lancio dei nuovi prodotti.

Nuovi modelli di consumo

La performance registrata nelle vendite dei frutti di bosco è invece costantemente crescente. Passata dalla vendita a volumi del 24,3 per cento nel 2015 al 26,2 per cento del 2018 nonostante il perdurare della pesante crisi economica italiana.
nuovi modelli di consumo sono sempre più improntati a razionalità e sempre meno impulsivi, sono emancipatiinformati, godono di socializzazione tra consumatori e mirati al benessere sostenibile. I nuovi stili di consumo privilegiano il benessere nel senso pieno della parola e legato alla natura. I momenti di consumo sono variati e la spesa alimentare è diminuita, si tende a mangiare meno e meglio. Crescono i mondi del fuori pasto-snacking e variata è la domanda di valore ovvero la combinazione di benefici che i prodotti, le marche e i punti vendita sono in grado di offrire e comunicare ai consumatori. In tali cambiamenti lo spazio che s’è creato per il consumo dei piccoli frutti è crescente.
I valori di consumo misurati dei piccoli frutti riguardano le informazionifornite sulle confezioni, i contenuti di proprietà benefiche, il fatto di essere associati a concetti di natura, la loro crescente presenza e la comodità del loro consumo, la loro sostenibilità. Anche le imprese del settore piccoli frutti, ha sottolineato il professore, devono essere oggi improntate a valori manageriali efficaci e attuali: visione, gioco di squadra, pensiero giovane, problem solving e… coraggio.

Fonte: Sant’Orsola

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Fruitimprese: 2018 nero per l’export ortofrutta

I dati definitivi del commercio estero ortofrutticolo italiano elaborati da Fruitimprese su fonte Istat confermano le preoccupazioni già più volte espresse dal mondo delle imprese. L’export perde 447mila di tonnellate di prodotto (-11,2%) e si ferma in valore appena sotto 4,6 miliardi (-6,3%). Anche l’import frena, ma con perdite più contenute (-0,4% in quantità e -0,9% in valore). Il saldo economico resta positivo ma si allontana dal record del 2017 (1 miliardo di euro) per fermarsi a 781 milioni (-26,2%). In volumi il saldo negativo da un anno all’altro è di oltre 6,6 milioni di tonnellate. 
Tutte negative le voci del nostro export, tranne gli agrumi (+7,1%). Il calo più rilevante riguarda la frutta fresca che perde 400.000 tonnellate di prodotto e in valore oltre 300 milioni di euro (-11%). Le quantità di prodotti importati ed esportati si equivalgono, anzi l’import è di poco superiore (6671 tonnellate). A fronte di un calo dell’export di frutta fresca c’è un aumento dell’import  in valore (+4,6%).