Quale agricoltura del 2050 ?
Ne hanno discusso a Roma lo scorso 4 marzo, l’Accademia Nazionale dei Lincei con l’Accademia dei Georgofili e l’Accademia Nazionale di di Acrigoltura, Cnr, Crea, Aissa.
Le sfide da affrontare e le tecnologie per riuscirci, dal genome editing al digitale.
La sfida è ardua e la posta in gioco ancora di più, il climate change ormai non è più una profezia (solo per dirne una). E le variabili all’interno di questa partita sono moltissime: l’aumento della popolazione mondiale, che la Fao ha stimato raggiungerà più di 9 miliardi di persone tra una generazione (quasi 3 miliardi in più rispetto ad oggi);
- la diminuzione della Sau, (in Italia il 5% del territorio è stato sottratto all’agricoltura in 60 anni, con una perdita di produzione di 900mln di euro nel periodo 2012-2017 –dati Ispra);
- l’impatto ambientale della regolazione dei corsi d’acqua, il 70% dell’acqua è consumato in agricoltura (in Italia gli ettari irrigati corrispondono al 23% della SAU);
- la perdita di biodiversità(75-80% causata dall’agricoltura);
- l’utilizzo considerevole di mezzi tecnici,dai fitosanitari ai fertilizzanti azotati, necessari per produzioni economicamente sostenibili, ma con un costo ecologico secondo Ispra può essere rilevante, con possibile inquinamento delle falde e dell’aria, dominanza della flora infestante, perdita di biodiversità, emissione di gas serra. In Italia vengono impiegati 130.000 t di prodotti fitosanitari e 400 principi attivi (dati Ispra).
L’agricoltura oggi. E nel 2050?
Ma qual è la fotografia del settore primario oggi? Secondo i dati presentati nel corso del convegno, l’agricoltura coltivando 12-17 milioni di km² di territorio, utilizzando 1.700-2.300 km3 di acqua, distribuendo 104 Tg (milioni di tonnellate) di fertilizzanti azotati e 15-18 Tg di fertilizzanti fosfatici, produce derrate primarie per 7,7 mld di persone e rilascia nell’ambiente l’equivalente di 4,6-5,8 Tg di CO2.
E quella fra trent’anni? Nel 2050 la popolazione arriverà a 9,7 miliardi di persone, il reddito aumenterà del 30%, l’urbanizzazione aumenterà del 70%, le derrate alimentari +50-90%, la domanda di cibo crescerà del 50% (rispetto al 2013), le emissioni di CO2 +110%, utilizzazione del territorio +66-68%, acque +64-65%, azoto +50-52%, fosforo +51-55% (Dati Springmann et al., 2018 Nature e Ifad, Fao, Faosat e Undesa).
Lo scenario riportato dalla prima fotografia, e ancor più dalla seconda (sebbene siano delle stime), rimanda immediatamente a una necessità: dobbiamo investire su un sistema sostenibile ma ad elevata produttività (attraverso nuove pratiche colturali e varietà più efficienti e adattative), nel rispetto del territorio e delle sue risorse, ottimizzando la gestione delle acque e mitigando gli effetti del cambiamento climatico. Come? Minimizzando l’uso di mezzi e metodi dannosi per l’ambiente e gli esseri umani.
Innovazione, la risposta
Per ingaggiare questa sfida la scienza ha a disposizione mezzi potenti quali, i dati, la letteratura e la capacità di sviluppare innovazione. L’innovazione dei sistemi agroalimentari è, infatti, essenziale per nutrire il pianeta senza esaurirne le risorse.
Nel corso del convegno sono state analizzate le varie innovazioni applicabili al sistema agroalimentare, da quella tecnologica (agricoltura e irrigazione di precisione, blockchain, piattaforme di e-commerce, agricolture urbane, …), all’innovazione colturale (proteine alternative, agro-ecosistemi resilienti, …); fino alle nuove ricerche sugli agrofarmaci bio-inspired e sulle nuove tecniche di miglioramento genetico.
Più comunicazione e formazione
Il convegno che ha fatto luce su una panoramica vastissima dell’agricoltura mondiale e italiana, tra passato, presente e futuro, ha voluto sottolineare come la scienza rappresenti un’azione necessaria per un futuro meno incerto. Oltre all’innovazione, per riuscire in questo processo e progetto bisogna puntare su formazione e comunicazione. Michele Pisante, ordinario di Agronomia e coltivazioni erbacee all’Università degli Studi di Teramo e membro del Comitato scientifico di Terra e Vita, ha più volte sottolineato che i ricercatori devono migliorare il linguaggio informativo, anche attraverso l’utilizzo dei nuovi media, per indirizzare meglio i decisori politici e cittadini. «Il ruolo della scienza – ha concluso Pisante – è quello della condivisione dei saperi e soprattutto di renderli fruibili per una comunità più ampia che vada oltre la scienza. Mi auguro che questo incontro scientifico possa rafforzare il compito della conoscenza scientifica, perché, ad oggi, nonostante gli sforzi il nostro impatto è ancora molto limitato».
Il futuro delle risorse genetiche
Sulle nuove tecniche di genomica (cisgenesi e genome editing) è intervenuto Michele Morgante, professore di genetica all’Università di Udine, che nella sua relazione “Analisi e utilizzo delle risorse genetiche vegetali per il miglioramento genetico e l’adattamento al cambiamento climatico”, ha approfondito il tema della genetica applicata all’agricoltura con le nuove tecniche che accelerano, nei tempi naturali, i miglioramenti varietali, per rendere, le specie coltivate più resistenti ai patogeni e alle avversità atmosferiche.
Dalla presentazione di Michele Morgante
Morgante ha spiegato anche l’introgressione di varianti utili nelle piante tramite CRISPR/CAS (nucleasi diretta da Rna) consente modificazioni mirate identiche a quelle che avvengono spontaneamente. Come sottolinea Morgante, il presupposto fondamentale per il miglioramento genetico è la variabilità genetica, cioè la disponibilità di piante con caratteristiche diverse ma appartenenti alla stessa specie o specie molto simili e comunque sessualmente compatibili, tra cui individuare quelle con le caratteristiche desiderate.
«L’analisi genetica – afferma Morgante – permette di identificare i geni responsabili per caratteri di interesse. Si possono così mettere a punto metodi di modificazione genetica mirata a specifici geni e anche specifici nucleotidi. L’approccio delle moderne biotecnologie di precisione (Genome editing e Cisgenesi) è più veloce, più preciso e permette di conservare intatto il genotipo/varietà di partenza. Sarà il futuro».
Il Cnr Ibimet lancia un’iniziativa per limitare i danni del global warming. Un sistema web based, già applicato e funzionante per la sola Regione Toscana sin dal 2012 è stato ora esteso a tutta l’Italia.
La siccità che colpisce ormai ripetutamente molte aree dei Paesi di tutto il mondo provoca danni economici di valore altrettanto crescente che occorre alleviare con interventi specifici. Ma le azioni riparative sarebbero più efficaci e meno dispendiose se si riuscisse a prevedere l’arrivo di un periodo siccitoso in determinato territorio e di conseguenza valutare in anticipo i danni che tale fenomeno provocherà.
Tutto ciò sarà ora possibile dopo l’entrata in funzione dell’Osservatorio Siccità presentato venerdì 25 gennaio, a Roma, nell’Aula Marconi del Cnr in piazzale Aldo Moro. L’Osservatorio è stato realizzato da un team di ricercatori dell’Istituto di biometeorologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibimet), in collaborazione con il Consorzio Lamma, nel quadro dell’iniziativa Climate Services di Ibimet.
L’osservatorio siccità
L’Osservatorio è un sistema web based, già applicato e funzionante per la sola Regione Toscana sin dal 2012 è stato ora esteso a tutta l’Italia. Esso fornisce un servizio operativo semi-automatico, dettagliato e tempestivo per il monitoraggio della siccità, che dopo le alluvioni, è il secondo disastro a colpire la popolazione e, rispetto agli altri eventi estremi di origine naturale, è un fenomeno complesso e strisciante, le cui intensità ed estensione spaziale sono estremamente variabili. Inoltre la siccità è un fenomeno caratterizzato da un inizio lento e spesso di difficile identificazione e da un’evoluzione duratura.
Lo scopo e le funzioni
Lo scopo principale è quello di ridurre il gap esistente fra il verificarsi di un evento siccitoso e le risposte degli utenti finali nel gestire le emergenze legate al protrarsi del fenomeno, fornendo informazioni e mappe in tempo quasi reale. In particolare lo scopo finale è quello di dare un supporto tecnico su base scientifica a diversi tipi di utenti. Fornire, quindi, informazioni tempestive e affidabili ai decisori, ai gestori e agli utenti delle risorse idriche significa potenziare tanto le attività di monitoraggio e previsione, quanto la pianificazione di misure di mitigazione e educazione della comunità
Il framework si compone di tre parti:
- il sistema di monitoraggio, basato su un set di indici di siccità legati a dati a terra di pioggia e a indici derivati da immagini satellitari,
- il sistema di previsione stagionale dei parametri meteorologici pioggia e temperatura e l’indice SPI-Standardized Precipitation Index a tre mesi,
- il sistema di diffusione delle elaborazioni ed analisi basato sull’uso spinto del web.
Un sistema open source
Un aspetto fondamentale che ha guidato lo sviluppo del progetto di ricerca è l’approccio Open Innovation, fondato sui concetti di Open Data, Open Source e Open Access, caratteristica distintiva dell’Osservatorio insieme all’espandibilità, flessibilità e interoperabilità con altri servizi, pensati per rispondere al meglio ai bisogni dei vari utenti.
Il servizio climatico sviluppato ad hoc a partire da un’infrastruttura di dati della ricerca di Istituto integra dati a terra e da satellite, utilizzando soluzioni Open Source e servizi standard interoperabili per i dati geografici, per produrre indici di vegetazione e di pioggia in grado di seguire l’occorrenza e l’evoluzione di un evento siccitoso.
da: TerraE’Vita